E’ possibile immaginare un’ architettura che, pur integrandosi nello stratificato contesto storico, evitando ulteriore consumo di suolo, conservando modi d’uso e sinergie, possa collocarsi a pieno titolo nel suo tempo ed essere espressione di contemporaneità? E’ più rispettoso della storia e dei luoghi un edificio che imiti tipologia e stilemi architettonici, utilizzando tecniche e materiali “lucenti”, oppure riutilizzare anche in modo imprevedibile parti che lì erano e lì rimangono? Abbiamo allora lavorato sull’involucro, immaginato che parte dei materiali di risulta provenienti dalle demolizioni, il mattone pieno delle murature ed i ciottoli di porfido di alcune pavimentazioni, potessero avere nuova vita, in modo da racchiudere il nuovo manufatto entro un involucro “storico”. L’edificio nello stesso luogo, con la stessa dimensione e forma ed anche lo stesso materiale, ricomposto all’esterno. Il lotto oggetto dell’intervento è collocato ai margini di un borgo di antica formazione rurale, ormai inglobato nella periferia di Sesto San Giovanni a pochi chilometri da Milano. L’insediamento si presenta oggi con una morfologia molto complessa, edifici di differenti tipo- logie raccolti in successioni di corti collegate da androni e passaggi coperti, tutto intorno, i quartieri residenziali edificati a partire dagli anni 70 densamente popolati e le grandi infrastrutture viarie. Regolamenti e severe prescrizioni edilizie stabiliscono sedime e dimensione, imponendo morfologia e rapporto con il costruito. L’azione progettuale che ne consegue, sempre in bilico sul filo che unisce qualità architettonica e profitto immobiliare, consiste nello stabilire una certa continuità di relazioni con il precedente manufatto (un fienile al totale collasso), con i volumi e le corti dell’antico borgo. Questo avviene attraverso il mantenimento di forma e dimensioni della preesistenza (stabilito sì dalla normativa, ma ora sfruttato interamente a favore del progetto) e il recupero di parte dei materiali edili che lo costituivano. Il materiale, frantumato e contenuto in uno spessore di pochi centimetri, è trattenuto da una rete metallica in acciaio corten ed uniformemente distribuito in copertura e pareti, costituisce quindi una sorta di “eredità” estetica e costruttiva, oltre che tecnologica, nonostante la trasforma- zione a cui è stato sottoposto. Il volume che ne deriva è compatto, pressoché monomaterico, suddiviso in simmetriche campiture in rame aggraffato nelle quali sono ricavate tutte le aperture degli alloggi, sei unità in linea distribuite su tre livelli. Le aperture non compromettono l’integrità e la forza dell’edificio, sono celate da schermi oscuranti che si aprono meccanicamente e fungono anche da riparo contro sole e pioggia. Le fasce proseguono sino alla linea di gronda risvoltando parzialmente sulla falda, integrando le aperture zenitali. La particolare tecnica costruttiva ha permesso l’eliminazione degli usuali elementi costruttivi: canali, pluviali, davanzali, coprifili, imposte... conferendo semplicità costruttiva e salvaguardando la pulizia formale. L’eredità dei materiali riciclati è ora parte integrante di un involucro orientato all’abbattimento dei consumi energetici, attraverso materiali performanti, intercapedine aerata e soprattutto la formazione di una “massa” che rallenti quanto più possibile il riscaldamento degli ambienti interni nella stagione estiva e che conservi quanto più calore possibile in quella invernale. L’edificio è privo di canne fumarie e non emette residui derivanti da processi di combustione. Raffrescamento e riscaldamento sono garantiti da pannelli radiali a pavimento funzionanti con energia fornita da pompe di calore. L’acqua piovana scorre lungo le lamiere grecate sotto lo strato di frantumato, raccolta al piede dell’edificio e coinvogliata in vasche utilizzate per l’irrigazione. I materiali impiegati eliminano sostanzialmente tutti gli interventi di manutenzione legati all’involucro edilizio. Lo strato frantumato protegge dai raggi solari la lamina grecata in alluminio sulla quale scorrono le acque meteoriche, per questo si può ipotizzare una resistenza dei materiali superiore ai cinuant’anni. Durata sostanzialmente analoga può essere assunta anche per il rame aggraffato che riveste il sistema degli oscuranti. Superficie e profondità - una riflessione Cos’è che dà forma all’architettura? E’ la superficie che la racchiude o piuttosto l’idea di uno spazio in cui alle tre usuali dimensioni geometriche si aggiunge una sorta di quarta dimensione? Possono pochi centimetri di rivestimento dare forma alla profondità dell’edificio? Da più parti si sta assistendo ad una rivalutazione del concetto di superficie, che è stato per molto tempo antitetico a quello di profondità, intesa come la capacità di trattare un senso compiuto, frutto di analisi e riflessione. Secondo tale approccio la profondità è fatalmente destinata ad affiorare in superficie se vuole rivelarsi. E’ anche vero che generalmente in architettura il concetto di profondità difficilmente viene associato a quello di nascosto o celato. Più usuale è invece associare uno spazio non profondo ad un’esperienza non del tutto riuscita. Il teatro Olimpico a Vicenza del Palladio o S. Maria presso S. Satiro a Milano del Bramante, hanno perseguito tale convincimento, trovando la profondità che lel dimensioni del sito non concedevano attraverso l’illusione dell’artificio prospettico. Ci sembra che l’esperienza di Sesto San Giovanni, il cui sostanziale tema progettuale si trova racchiuso in pochi centimetri di spessore, confermi come in architettura superficie e profondità siano elementi complementari ed indivisibili in un sistema di costanti rimandi, evitando di scivolare sulla superficie delle cose ed approfondire le nostre azioni nello spazio, nel tempo, nell’ambiente.
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