La demolizione della chiesa di Santa Cecilia nei primi anni cinquanta ha comportato l’isolamento del campanile in mezzo alla piazza, figura solitaria, metafisica, astrazione architettonica.
Ed è proprio a partire da un nuovo legame fisico tra il campanile ed il “tutto” dell’area centrale che prende avvio questo progetto di architettura.
Il vecchio sedime della chiesa viene ricreato con una pavimentazione in pietra che propone la metrica dei demoliti pilastri e le lesene, ne tesse la trama a terra con fasce e stuoie disegnate con pietre di diverso cromatismo.
Una struttura in acciaio “copre” l’area sacra dell’abside mentre la facciata della vecchia chiesa, attraverso una interpretazione moderna, diventa il supporto per un’altra copertura metallica per nuovi spazi di relazione urbana.
Così gli elementi principali della chiesa di Santa Cecilia: l’abside, la pavimentazione, la facciata, il campanile, tornano ad assumere vecchi e nuovi significati dentro la piazza.
La storia riscrive se stessa.
Altre strutture leggere in acciaio, desunte dalla vita della piazza sia essa sacra o profana, come il “baldacchin” della processione del Corpus Domini o i teloni delle bancarelle del mercato, definiscono il congiungimento visivo e formale tra la piazza e lo spazio storico davanti Palazzo Barbaran.
Tra questi due fatti urbani si posiziona un piccolo edificio di pietra e sopra la sua restaurata facciata nasce il progetto di una architettura “leggera”, nel convincimento che solo attraverso l’architettura stessa è possibile risolvere i complessi fatti urbani dei contesti storici.
Così il progetto propone la realizzazione, in ampliamento e in elevazione, di un edificio con funzioni pubbliche, un edificio appoggiato, come un “parassita” sopra il reperto di pietra della facciata esistente.
Qui si gioca il progetto.
In questo edificio pubblico, in questo nodo e snodo determinante tra i rapporti funzionali e formali della ridisegnata piazza e Palazzo Barbaran, l’architettura torna protagonista come elemento civile, trasparente, passante, connettivo.
Le metriche delle colonne che sorreggono questa architettura (i pali sorretti dai “fabriceri” del “baldacchin” e quelli dei teloni delle bancherelle) sono desunte dalle colonnine gotiche del primo impianto quattrocentesco di Palazzo Barbaran, così nuove architetture e architetture storiche si fronteggiano dentro la modernità della storia.
Un grande segno ovale lega e tiene insieme gli edifici prospicenti la piazza, usando il campanile come perno, come fulcro della costruzione geometrica della figura piana dell’ovale.
Così tra la chiesa, le scuole, il campanile, il municipio, viene a ritagliarsi uno slargo libero da elementi di ingombro, lo spazio della vera e propria piazza dove possono trovare rappresentazione le manifestazioni religiose, civili, ricreative e l’importante mercato settimanale.
Solo la grande figura “ovale” riesce a connettere edifici non ortogonali fra di loro e ora quasi galleggianti nello spazio vago.
Il grande “ovale” genera durante la sua costruzione linee di relazione nuove come il percorso pedonale che dalla piazza, anzi da un “perno” della piazza , conduce al Parco delle Rimembranze o il percorso assiale che dal Municipio porta al cuore della piazza.
Dalla collina a sinistra della Chiesa Parrocchiale scende una gradinata con funzione di teatro all’aperto, una piattaforma davanti la gradinata stessa diventa la scena con dietro il fianco in stile “umbertino” delle scuole.
Un alto muro copre la vista verso gli edifici della lottizzazione, ad esso sono ancorate delle strutture metalliche che a sbalzo proteggono dalle intemperie le attività gastronomiche delle manifestazioni popolari.
I parcheggi vengono posizionati in spazi “secondi” riuscendo a soddisfare il fabbisogno per l’uso delle attività dell’area centrale.
La viabilità rimane pressochè inalterata, l’attuale situazione viaria risulta idonea.
Nuovi volumi, nuove strutture coperte di supporto alle attività commerciali dei piani terra cercano di riconsegnare alla città alcuni edifici prospicenti la piazza.
ARREDO URBANO.
E’ la pavimentazione a ricoprire un ruolo importante nella definizione dell’arredo urbano. E’ l’arte di posare le pietre, ora a correre, ora a lastre alternate dentro un grande disegno relazionante edifici diversi, tutto per mantenere l’aspetto fondamentale del piano libero, attorno al quale le architetture esistenti diventano riconoscibili “personaggi” dentro la scena urbana tornando a comunicare tra di loro.
La sequenza dei volti grotteschi dei personaggi posti sopra la chiave di volta delle arcate di Palazzo Barbaran mostra una città storicamente abitata, i loro volti, come mascheroni, sintetizzati in segni secchi scavati nella pietra, vengono a trovare nuova collocazione attorno al grande segno ovale della ridisegnata piazza.
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