Come il teatro, considerato l’arte del travestimento, è ciò in cui attraverso il massimo della finzione si cerca di “mettere in scena” il massimo dell’autenticità, così l’architettura è ciò in cui, attraverso la necessità del segno, si cerca di “mettere in opera” il “valore” di una società civile. Questa richiesta di aderenza tra ciò che si è e ciò che si fa è, prima di tutto, regola morale. Per raggiungere questo risultato ci vuole il tempo necessario. Non come oggi, dove il risultato deve arrivare immediatamente, altrimenti il fallimento è dietro l’angolo. Perché pure il fallimento è un “valore”, un momento di crescita, un’ulteriore offerta di ripartenza. Il teatro si oppone alle distorsioni della contemporaneità ponendo al “centro” la qualità della parola, che è tale perché è necessaria. L’architettura pone la questione della “centralità” del progetto, che per essere tale deve essere “semplice”, un progetto in cui ogni segno è necessario. Il teatro è l’opposto delle parole pronunciate con “rumore”. La parola recitata nasce da una necessità che presuppone il “silenzio”. L’architettura condanna la “diversità” che produce solo il “rumore” indistinto dell’uniformità, per trovare nel “silenzio” il senso più alto della propria autentica necessità. E il progetto della nuova Sede della Polizia Municipale di Reggio Emilia si allinea a queste argomentazioni.
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