Sara Spizzichino Fachbereich Kunstpastoral, Ottobre 2016 Sono entrata a far parte di Triumphs&Laments grazie all’incontro con l’artista Kristin Jones, fondatrice di Tevereterno e direttrice artistica di Triumphs&Laments, circa cinque anni fa. Raccontare la lavorazione dell’opera è già una grande riflessione sui Trionfi e Lamenti: sono state moltissime, infatti, le vicissitudini che abbiamo dovuto affrontare, non ultimo, le difficoltà burocratiche sorte a fronte della realizzazione di un’opera d’arte contemporanea nel pieno centro di una delle città più antiche del mondo. Ma eravamo uniti e molto determinati, e questa determinazione ci ha portati a non accettare nessuna risposta che fosse “No”.
La ricerca. Prima di essere incaricata insieme all’artista Janos Cseh come CO-Team Captain dei cinquanta disegnatori che hanno realizzato le Shadow Puppets, mi sono occupata della ricerca delle immagini: esse dovevano avere determinate caratteristiche che potessero andar bene su un fregio, e che fossero storicamente significative. Seguendo questa pista, insieme a Kirila Cvetkovska e guidate dalla storica medievalista Lila Elizabeth Yawn della John Cabot University, ci siamo messe sulle tracce di foto che corrispondessero alle aspettative. Avevamo due difficoltà: la prima era quella della portata degli eventi, enorme per la città che dovevamo affrontare, Roma. La seconda era quella di trovarci di fronte all’impossibilità logica di stabilire cosa fosse un trionfo e cosa un lamento. Non possiamo attribuire caratteristiche universali ai trionfi e ai lamenti del mondo, dunque la strada doveva essere diversa. Così William Kentridge ha deciso di riconsiderare gli eventi da un altro punto di vista, che portasse l’osservatore a riconsiderare con una certa relatività ciò che è una vittoria da una sconfitta, una visione degli eventi sovrapposta e non lineare: il fregio, infatti non segue un ordine cronologico, ma va per associazioni: per William la morte di Remo - un fratricidio che apre la storia di Roma - non è molto diversa dalla morte di Pier Paolo Pasolini. Questo ci apre a numerose possibilità di riconsiderazione delle cose, ma soprattutto rinnova la nostra memoria, naturalmente predisposta all’oblio del tempo, attraverso una forma di esercizio mentale: il punto chiave di quest’opera evanescente, non è soltanto quello di rivedere questi eventi pensando a cosa è accaduto, l’opera in sé si compierà mettendosi in moto nel momento in cui inizierà a scomparire, costringendoci a chiederci:”Ma qui chi c’è, Remo o Pasolini?”, sottoponendoci allo sforzo di ricordare, prima di sparire del tutto in attesa di nuove pagine di storia da scrivere.
Le Shadow Puppets. Ho sempre dato ragione a quel proverbio che dice che se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante. Io e Janos, due artisti di formazione e provenienza molto diverse che vanno incredibilmente d’accordo insieme, dovevamo coordinare cinquanta persone appassionate che si sono offerte volontarie alla realizzazione dell’opera. Dovevamo realizzare ottanta Shadow Puppets che avrebbero sfilato in processione nelle due serate inaugurali: la loro ombra proiettata sul muro, diventata enorme, si sarebbe sovrapposta alle figure del fregio in un icnrocio dinamico di immagini evocative che riguardano Roma. Aldo Moro, Garibaldi, Anna Magnani, la Roma dei Papi e dei Premi Oscar. Per realizzare tutto questo abbiamo convocato artisti, studenti, grafici, musicisti, restauratori e altri che non avevano una formazione artistica e che volevano fortemente prendere parte al progetto. Se eri motivato e avevi speranza eri la persona giusta, per noi. Il 3 Aprile l’ingranaggio ha iniziato a girare e la macchina si è messa in moto: l’entusiasmo di tutti, ci ha fatto spostare l’elefante.
La musica. Per William Kentridge, la musica non è divisa dai disegni, né dai costumi. Tutto nasce nello stesso tempo come nella realizzazione di un’opera musicale, dove ogni elemento suona ascoltando gli altri, oltre se stesso. Lavoravamo tutti insieme: artisti, musicisti, costumisti, in una grande fabbrica creativa che disegnava sui suoni concepiti da Philip Miller e diretti da Thuthuka Sibisi. Tra le note, c’erano incursioni di musica popolare italiana e sudafricana: se prima abbiamo messo in discussione il tempo, nella musica di Triumphs&Laments il tempo mette in discussione lo spazio. Mentre noi disegnavamo, tagliavamo, incollavamo, facevamo tutto questo sentendo il ritmo che le nostre immagini avrebbero avuto e viceversa: mentre loro suonavano, adeguando i colpi delle battute, regolando le pause e armonizzando le voci, lo facevano vedendo le immagini che avrebbero avuto i loro suoni.
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