L’intervento, realizzato in un piccolo centro della provincia di Avellino in Campania, interessa la rifunzionalizzazione del piano terra del Palazzo Capone, risalente alla fine dell’800, posizionato in un punto suggestivo del centro storico del comune di Montella. Il programma ha previsto la realizzazione di un museo multimediale e sensoriale destinato alla divulgazione tecnico/scientifica della Castagna IGP. Il concept nasce dall’idea di bypassare il tradizionale assioma museale che si incardina sul rapporto oggetto-visitatore. In questo caso non esistono oggetti o opere da mostrare, ma un contesto, un territorio, una storia, che tutti insieme “raccontano” un prodotto. Il visitatore entra in rapporto non con singoli oggetti illuminati e accuratamente posizionati, ma con un “effimero” racconto di tutto un mondo che ruota dietro ad un prodotto di eccellenza quale è appunto quello della Castagna IGP. Questo racconto, attraverso la stimolazione dei cinque sensi, viene recepito ed acquisito in modo diretto ed immediato da parte del visitatore, lasciandogli alla fine del percorso di sicuro un ricordo di quella che lo ha “stimolato”.
Partendo da queste considerazioni sull’allestimento museografico, l’idea architettonica si è concentrata sulla necessità di distribuire gli spazi del piano terra, 250 mq circa, secondo un percorso lineare che potesse essere funzionale all’allestimento stesso. Per cui, dato atto che gli ambienti originari al piano terra fossero disposti intorno alla corte interna dell’edificio, si è deciso di aprire una serie di vani tra le sale in modo da creare un percorso “parallelo” alla corte stessa il quale, partendo dalla prima sala destinata all’accoglienza, attraverso le cinque sale dell’udito, della vista, dell’olfatto, del tatto e del gusto, giungesse fino alla fine del percorso museale. In questo modo lo spazio e le funzioni sono stati “creati” dal percorso e non viceversa. Tale percorso è il tres d’union tra lo spazio esterno e quello interno; è il “tappeto” che accompagna il visitatore attraverso le sei sale. Un tappeto di pietra, una pietra calcarea naturale che qui viene chiamata “breccia irpina”, estratta e lavorata a non molti km di distanza. Una pietra che è la stessa utilizzata a fine 800 per pavimentare la corte, le stalle e la scala monumentale del palazzo. Un legame storico che ha indirizzato nella scelta del materiale. Tutto il resto è candore, smaterializzazione, bianco puro. Le pareti delle sale non hanno materia, sono attori muti; la loro unica funzione è quella di “prestarsi” quali superfici utili alle videoproiezioni multimediali. L’unico volume che si sviluppa all’interno di questi spazi consequenziali è il cavedio tecnico che ospita gli impianti elettrico e multimediale, oltre al sistema di illuminazione. Un nastro che, in perfetta corrispondenza con il tappeto di pietra, allunga gli spazi creando movimenti netti all’interno delle sale e “sfondando” la staticità dei luoghi. Questi non sono ambienti per stare, bisogna muoversi, seguire, attraversare, per giungere alla fine e scoprire cosa si è visto. Così come la pietra ha garantito il legame storico con il contesto/palazzo, allo stesso modo il legno di castagno, utilizzato per rivestire il nastro, ha garantito la “memoria” della pianta, dei boschi, delle montagne.
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