Si arriva a Liberi nell’alto casertano attraversando campi verdi luccicanti e vigneti multicolori. Ci sono le antiche masserie di tufo con le colombaie e il ciarpame delle finzioni con le pietre ben tagliate. Si prosegue oltre il paesino tra edilizia sporadica e un inspiegabile intervento di “slargo con fioriere” nel mezzo della campagna sconcertata. Infine si prende una strada sterrata con il fogliame delle acacie che graffia la macchina. Si percepiscono dell’edificio le geometrie delle figure dislocate su una piastra poggiata su un montarozzo. Si gira su un percorso di terra rossa e si scopre che la piazza altro non è che la copertura di un manufatto annegato [ma non troppo] nella terra. Di cemento. La “cantina” vera e propria con i suoi sistemi lavorativi, le catene e la bottaia. L’uva “cade” da sopra e finisce nelle macchine di lavorazione. Le vigne con i loro grappoli arrivano fin sotto.
Sopra i padiglioni della degustazione e degli uffici. Due edifici allungati e coperti da un lungo spiovente che termina oltre il limite della “piazza” stessa portando l’acqua piovana a cadere in appositi serbatoi per il riuso. Racchiusi da vetrate e frangisole in legno. Una sorta di pelle sottile e trasparente che lascia guardare il paesaggio potente da ogni punto. Spazi unitari. Pavimenti di resina e soffitti con tavole di legno. La sostenibilità dell’intervento risiede nell’uso dei materiali, nel buon assemblaggio piuttosto che nella dotazione di fotovoltaico [che pure c’è] in grado di rendere autosufficiente l’intervento.
I servizi e la pensilina dello scarico e dei macchinari si dispongono ortogonalmente ai due padiglioni. Strutture di cemento e chiusure in lamiera e reti. Un sistema rarefatto come la luce che porta dalle montagne mescolati i riflessi del verde e della terra.
Un sistema di rampa scala e ascensore costituisce il collegamento con lo spazio sottostante. Si attraversa la bottaia. In cemento e tufo. Ruvida. Pavimentata in mattoni di cotto. Una passeggiata su rampa e un affaccio da un braccio metallico. Il centro della lavorazione.
Linguaggio scarno e essenziale. Materiali nudi. Un segno visibile nel paesaggio. Un profilo aguzzo come le cime dei boschi. Un punto di osservazione come un belvedere aperto sulla distesa di vigne. Un luogo produttivo che interagisce con lo scenario dell’intorno. Una specie di “villaggio”. Il vino che si produce è corposo e forte.
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