Accogliere può anche significare aprire le porte a un’iniziativa già costruita nel suo ordinamento (proveniente da una mostra a Bari) e che necessita un allestimento reinventato per un nuovo spazio. È il caso di questo evento che mette a confronto una donna-icona e un luogo-simbolo grazie agli scatti di Leo Matiz, fotografo, testimone attento e profondo interprete della realtà messicana e colombiana del secolo scorso. La Pinacoteca Albertina si plasma al gioco di rimandi, tra le immagini in bianco e nero e la pittura accademica che continua a occupare tre pareti su quattro di ogni stanza del museo. Si inventa una rete che percorre tutti gli ambienti, come quella del pescatore, capolavoro assoluto di Leo Matiz e manifesto poetico di tutta la sua pregevole e intensa arte fotografica. Si inventa una grafica, che gioca con il cerchio, quello proprio dell’obiettivo del fotografo o quello che rimanda all’esistenza di Frida fissata qui per sempre in tutta la sua dolce malinconia.
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