Acqua, farina e gesti millenari che hanno i profumi della mattina del mondo… il Panificio non è solo un luogo, è un vero e proprio scrigno in cui si conserva la memoria dell’umanità stessa, la sorgente della vita materiale, sociale e spirituale. Impossibile chiamarlo negozio… ancora più difficile ridurlo a semplice punto vendita. Fin dall’inizio il locale è stato pensato come uno spazio di grande pregio, una piccola pietra preziosa incastonata nella città, in grado di comunicare al primo sguardo la sua carica espressiva e la sua anima.
Il Panificio si apre sulla strada con una grande vetrata attraverso la quale lo spazio interno sembra proiettarsi nella città e vice versa. La visibilità e l’attrattività del locale è tale da catturare lo sguardo dei passanti e delle macchine, anche grazie alla piccola fioriera verde che il Panificio ha voluto “donare” alla città. Appena si entra è forte la sensazione di essere coinvolti in un vero e proprio quadro, una tela bianca in cui il pane e tutti gli altri prodotti possono emergere al meglio con i loro colori e le loro forme. Il bancone e gli arredi si vestono di bianco per esaltare le sfumature accese dei prodotti esposti, e lo spazio intero diventa un fondale luminoso sul quale tracciare le tonalità dorate del pane.
Il laboratorio diventa parte integrante dello spazio, impreziosito da un vestito filigranato di ceramica, ed accoglie il lavoro frenetico delle mani sapienti che impastano, creano, infornano… Il laboratorio non è più uno spazio da nascondere ma un ambiente dove si palesa la conoscenza e la creatività dell’uomo, e per questo è quasi investito di un senso di sacralità, che si riflette nella cura e nel pregio del dettaglio. Anche i corpi illuminanti sembrano esplodere da questo spazio, con la volontà di indicare una precedenza non solo temporale (legata alla modalità di produzione e di esposizione) ma soprattutto intellettuale (il pane deriva prima dalla conoscenza e dal livello di civiltà di un popolo) e si espandono sul bancone della rivendita anche come metafora della trasmissione incessante del sapere alle generazioni future.
Un fregio sottile, composto da doghe verticali in legno, corre tutt’intorno alle pareti, quasi come se il soffitto poggiasse (o fluttuasse) su cento “spighe di grano”.
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