Il progetto è la trasformazione di un annesso rurale costruito al fianco di una grande casa che fino alla metà del secolo scorso conservava i caratteri tipici di un “territorio” edilizio dove forme e materiali, ricavati dal luogo, risolvevano le necessità dell’ abitare.
Negli anni 60’, con lo sviluppo di un’incalzante industria dei consumi che in parte rivoluzionò anche il settore edile, attraverso forme di restyling e nuove realizzazioni il più delle volte dagli esiti discutibili, si affermò una forma di “brutalizzazione” nei confronti del patrimonio edilizio. Un desiderio inconscio di uscire da un modo di vivere considerato arretrato e di provincia fece in modo che Il carattere “alpino” costruito nel tempo dai contadini di montagna venisse in parte sostituito da nuovi “pattern”. La civiltà industriale della pianura che proponeva nuove e prestanti gamme di materiali spesse volte provenienti dall’ industria chimica, si sovrapposero al modo di lavorare semplice e leggero dei valligiani. Le forme dell’ “utile” definite nel tempo da un equilibrato rapporto tra i bisogni e i materiali da costruzione, vennero riscritte con la promessa di una vita più comoda e facile. In questo passaggio di mutazioni formali e per una forma di crisi generata dall’ inconsapevole perdita di identità, si sviluppò un inedito rapporto tra la memoria di un mondo antico e le “forme” del progresso. Ai vecchi muri di pietra, agli ampi rivestimenti in legno, alle pergole della vite e alle piccole finestre senza balconi fecero eco soluzioni che trasformarono per un trentennio la materia e la forma che esisteva da secoli. La reazione degli architetti fu quella di assistere inermi a una trasformazione che cercarono di arginare introducendo nei regolamenti dei nascenti piani regolatori norme volte alla salvaguardia dell’ immagine del passato. La graduale perdita di identità dovuta alla trasformazione dei paesaggi naturali e costruiti e nel contempo il nostalgico tentativo di riappropriarsene attraverso scelte formali regolamentate da abachi e cataloghi “tipologici” , sono i passaggi per arrivare allo “stile dei geometri” incapace di trovare, nonostante la censura di commissioni edilizie e tecnici comunali, relazioni interessanti tra i nuovi bisogni e i modelli culturali antichi, superando la tradizione attraverso un nuovo racconto.
Questa “metamorfosi formale” è toccata anche alla casa e al piccolo annesso al quale ci è stato chiesto di ri-significare alcune sue funzioni. L’ annesso rurale, piccola costruzione di 35 metri quadri, nascosto dietro la grande casa, adiacente le grandi mura del cimitero e contenuto in un giardino continuazione “addomesticata” dei prati e del bosco circostante, è occupato al piano terra da una stanza in cui trovano posto attrezzi agricoli e al piano superiore da un ampio spazio vuoto per il deposito della legna.
La grande casa, l’ annesso e lo spazio verde intorno sono il risultato di ripetuti piccoli lavori che si sono nel tempo sommati grazie al lavoro del suo proprietario emigrante con la moglie in Svizzera e, a parte lo spazio qui presentato, da lui terminati prima della prematura morte.
A Basilea faceva l’ operaio presso un’ impresa edile che si occupava in prevalenza della costruzione di giardini. Trascorreva le sue vacanze in questa casa che fu di suo nonno e che gli fu lasciata dal padre e per questo, anno dopo anno, in solitudine e senza avere fretta “preparò” il luogo in cui sapeva sarebbe ritornato per passare il tempo della pensione.
Quando nel 2000 rientrò al paese gli diagnosticato una grave malattia di cui morì pochissimo tempo dopo. La casa e il grande giardino diventarono per la moglie una traccia dell’ esistenza del marito, i segni visibili del suo passaggio.
Quando il figlio minore della coppia, poco tempo dopo, mi chiese di intervenire nello spazio dell’ annesso per realizzarci una piccola sauna, all’ entusiasmo mio e del figlio fece eco il disappunto della madre preoccupata che il riuso avrebbe modificato ciò che la riconduceva al ricordo del marito. Ai fini di limitare le “frizioni” tra la preesistenza e la nostra trasformazione fu scartata una prima soluzione a mio avviso molto “disegnata” e pretenziosa di forma. Si formulò allora una seconda proposta ove le modifiche del volume esterno potevano essere accettate solo perché strettamente necessarie.
Il collegamento tra la vecchia casa e l’annesso è stato risolto praticando un varco murario nel punto in cui la scala esistente "gira" e la dimensione della pedata al pianerottolo diventa maggiore. Il passaggio, soluzione logica e poco invasiva, è così diventata una variante del percorso di salita che dal pianoterra porta fino alla soffitta.
Lo spazio dell’ annesso è separato in due parti funzionali. L’ una molto bassa, definita da un soffitto piano in legno bianco, raccoglie il passaggio dalla casa, un piccolo bagno, la stanza calda della sauna e l’ angolo per la doccia che si relaziona al piccolo spazio scuro in cui è collocata una stufa a legna attraverso piani orizzontali e verticali in pietra grigia locale. La dimensione molto bassa di questo spazio definisce una separazione netta tra sè e lo spazio adiacente. Lo spazio a falda si configura in questo modo perchè lo sguardo sia indirizzato verso due grandi aperture che inquadrano in modo diverso parte del paesaggio circostante. La prima apertura guarda “lontano” e inquadra le vette che sbarrano la valle del But. La seconda guarda i paesaggio “vicino”, lo spazio del giardino che dal retro della casa si sviluppa fino al limitare del bosco di faggi e alle mura del vecchio cimitero del paese. Lo spazio a falda è “meditativo” per il modo in cui si relazione verso l’ esterno. E’ il luogo nel quale è possibile stare in silenzio avvolti dal calore del legno che costruisce lo spazio, spazio che si apre all’ esterno in modo preciso e mirato.
Lo spazio esterno al volume , da sempre un retro fangoso e poco utilizzato, è stato riorganizzato per diventare estensione del giardino realizzato in precedenza dal lavoro certosino del padre.
Il completamento dell’ esterno si realizza attraverso piani in calcestruzzo "ruvido" che disegnano un giardino secco i cui piccoli dislivelli assecondano una lieve pendenza del terreno naturale. Panche e scalini gettati in opera assolvono alle funzioni di percorso, contenitore per piante striscianti e seduta. La pavimentazione, interrotta da fughe in ghiaia in cui si raccoglie l’ acqua piovana, viene con questo stratagemma drenata e dispersa in modo naturale. I segni e la materia che con cui si realizzano gli spazi esterni formano un’ interessante contrappunto con le mura sovrastanti del cimitero vecchio.
Il tamponamento del pacchetto isolante esterno è realizzato con un tavolato di legno di larice e da economici pannelli OSB nobilitati dal nero impregnante protettivo. Il passaggio tra il pannello industriale e il prezioso rivestimento in legno è una strategia con la quale sottolineare la gerarchia degli ambiti del giardino rispetto lo spazio della sauna. Il rivestimento in larice si trova dove il volume dell’ annesso intercetta il percorso di accesso e definisce l’ambito del giardino che si relazione con le attività dello spazio interno. Alla fine del "giardino" di cemento il rivestimento in larice lascia posto ai pannelli di legno ricomposto e dipinto. La separazione dei rivestimenti è il punto in cui si evidenzia la piccola nicchia, spessore del muro, che dall’ esterno conduce allo spazio domestico. Gli ambiti estero e interno trovano così una relazione visuale e materica importante. Un "foglio" di legno prezioso copre una limitata porzione dei muri esterni, ripiega nello spazio interno e attraverso la visuale di una delle grandi finestre si rafforza l’ idea che il freddo e il caldo sono, per chi pratica questa attività, condizioni necessarie per il beneficio che vi si trae.
Il larice con cui si “rivestono” gli spazi esterni ed interni differiscono solo per il loro diverso modo di stare al chiuso o all’ aperto. Ulteriore modo per trasmettere, attraverso la modificazione del loro aspetto esteriore, la sensazione contrapposta del freddo e del caldo.
Le parti di muratura non rivestite conservano il ruvido intonaco dipinto in precedenza dal padre del committente. Così come le vecchie nere travi del tetto sagomate in testa per essere più “belle”, la grossa mantovana di lamiera nervata a protezione della copertura in pianelle tipo Wierer. Fanno parte del progetto anche i serramenti e la zanzariere in alluminio, le porte decorate in ferro battuto e dipinte con vernice marrone del piano inferiore, e la famigerata parabolica sul tetto che per quanto, normalmente orrore mi faccia, in questo posto e per come è organizzato il progetto, ci sta benissimo perché rafforza l’ intenzione iniziale del “mettere” cercando di “togliere” solo quello che interferisce direttamente con il progetto. Queste “inusualità architettoniche“ sono come un pattern che non si ferma al piccolo annesso e nemmeno al giardino e alla casa paterna. Costituiscono la “usualità” del paesaggio costruito circostante. Adattarvisi riconoscendone il senso fa si che la trasformazione sembri esserci qui da sempre in armonica continuità con le tracce lasciate da chi ci ha preceduti.
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